Rieccoci e bentrovati. Dopo
la pausa invernale, ricomincia il campionato di B, la Reggina è impegnata a
Bari, nella prima giornata del ritorno, sperando che sia un ritorno effettivo
al calcio, dopo lunghi mesi di assenza. In questo mese di stop sono avvenuti
molti cambiamenti intorno al mondo amaranto: è cambiata la guida tecnica,
alcuni calciatori hanno salutato la compagnia, qualcuno nuovo, o al massimo
usato, è arrivato, ma soprattutto si è compiuto il centesimo anno della nostra
gloriosa squadra.
Chi scrive non è preoccupato
né della posizione in classifica né del rischio di scomparire dal calcio, in
controtendenza rispetto al dire comune. I motivi risiedono certamente
nell’irrazionale ottimismo del tifoso così tanto allenato negli anni, ma sono
anche legati ad altre circostanze. Nessuno dei tifosi più maturi intanto può
negare che quando si giocava in serie C1, e non se ne veniva mai a capo, oppure
quando si scivolava per due volte in C2, senza una società, senza un appiglio
per il futuro, che si stava indubbiamente peggio. E si stava peggio perché non
c’era neanche la possibilità di veicolare l’insoddisfazione verso qualcuno.
Eppure, dal basso, è rinata una grande storia, fatta di successi e
soddisfazioni, anche di delusioni cocenti, ma sono stati anni in cui tutta
Italia ha conosciuto la Reggina, il suo pubblico, la sua passione; la nostra
città ha potuto mostrarsi nel suo aspetto migliore, cioè, quello della
partecipazione popolare.
I cicli, per loro natura,
hanno andamento altalenante, la storia recente della nostra squadra lo conferma.
Dopo gli anni bui, da cui siamo partiti, raccontando la storia che conosciamo
per averla vissuta, si arriva agli anni di Scala con l’ambiente che si caricava
partita dopo partita. Dopo quel biennio magico, dalla C alla quasi A, e la bella
stagione di Bolchi, il ciclo riprese la via della discesa, fino ad arrivare
alle porte della retrocessione dalla C1 alla C2. Un triennio di sofferenza cui
seguì una rinascita con le stagioni dei play-off persi, della promozione e poi
della permanenza in B. L’impennata migliore comincia, dal quattordicesimo posto
in B, al decimo, al sesto, al sogno realizzato della A. Nove anni di massima
serie, anch’essi con alti e bassi, con cadute e riprese, fino al 2009, anno in
cui inizia il declino nel quale ci troviamo ancora.
Sarebbe troppo semplicistico
aspettarsi qualcosa di buono per cabala, scaramanzia o ragionamenti statistici
fatti di curve gaussiane. Il nostro ottimismo poggia su ciò che sta alla base,
sulle intenzioni del manovratore. Il
presidente quest’anno ha sbagliato tantissimo, non è riuscito a dare forza ad
un progetto tecnico con una figura solida, ha lasciato andare via un manager
(Tolentino) che sarebbe stato molto utile in varie occasioni, prima fra tutte,
la celebrazione del centenario nella data naturale, cioè, l’11 gennaio 2014 che
per la società è saltata. Ha intrapreso un valzer in panchina che in otto mesi
mostra questa sequenza: Pillon - Atzori - Castori - Atzori - Gagliardi/Zanin. Fermarsi
al primo era troppo semplice, meglio complicarsi il lavoro a volte. Adesso che
ne paghiamo le conseguenze, ci tocca sperare che la “strana coppia” riesca a
ridare calcio ad una squadra che ha cambiato spesso, oltre gli allenatori,
uomini, schemi e mentalità.
Ma in sostanza da dove altro
nasce l’ottimismo? Nasce dalla certezza che il manovratore tutto vuole tranne
che retrocedere; si alimenta anche dalle piccole cose, dall’osservazione di un
mondo, quello amaranto, che abbiamo imparato a conoscere col tempo e, quando
nel momento di maggiore crisi, vengono fuori certi argomenti, certi dibattiti,
determinate trasmissioni, allora noi saltiamo a piè pari dall’altro lato.
Perché ci viene troppo da ridere quando ex dirigenti, opinionisti e sapientoni,
si riscoprono giudici implacabili del grande capo, cui contestano scelte che
magari in passato venivano da loro stessi approvate. Basta aprire i social
network per leggere gente che prima era “culo e camicia” con la società e
adesso ne scrive di tutti i colori. La Reggina di Foti ha sempre prodotto, fin
dalla vendita di Bellaspica, dopo alcuni giorni dall’ingresso in società; mai
ci ha rimesso perché chi detiene la Reggina ha anticipato una modestissima
cifra subito ripagata e non ha mai cacciato altri soldi!
Per quanto tirchio e
detestabile possa apparire (e probabilmente essere), il presidente mai si
abbassa a determinati livelli, mai attacca nessuno, sempre ha detto che si
lavora con quanto si produce, cioè, con gli introiti. Questa è la base per
ragionare, troppi hanno perso la memoria ed accettato passivamente questo
compromesso (ormai storico) solo nei periodi vincenti, proprio quando ci
guadagnava (e qui avete mostrato genialità). Quando si vendeva Bianchi, a rate,
in sterline, addirittura si truffava sul cambio, equiparando sterlina ed euro,
ed euro in lire (!) pur di minimizzare il cifrone che, unito alle altre
operazioni, faceva tanto. Chi scrive discuteva anche con addetti ai lavori
delle cifre, perché era quel calciomercato, in quel periodo storico che doveva
significare la svolta della società; invece gli argomenti erano sottovalutati,
anche perché in fondo erano “discorsi da bar”. Adesso sono da salotto quegli
incassi, complimenti per la tempestività!
La storia però è fatta anche
di comportamenti e scelte errate del presidente, che a volte allontana quelli
buoni, come Iacopino. Raccontandola com’è, il signor Foti, prima di entrare
nella Reggina, era un comune negoziante, come ce ne sono milioni in Italia; da
molti anni ormai è diventato ricco ed abbastanza famoso, grazie alla Reggina.
Questo non è mai stato accettato dai suoi detrattori, non accettano che sia
potuto accadere questo, senza chiedersi se ciò abbia potuto portare benefici o
no alla squadra ed alla città (in ogni senso…). Non riescono a metabolizzare un
semplice teorema che vige da almeno cinque lustri: la Reggina va bene/Foti fa
soldi; la Reggina va male/Foti non fa soldi.
A noi che Foti sia ricco,
non ci interessa, saranno fatti suoi, a noi dà fastidio il Foti dei periodi
buoni descritti in precedenza, quello che s’inceppa quando tratta la Reggina
come se fosse un negozio sul Corso, il presidente che si confronta
calcisticamente con i familiari (con tutto il rispetto, in linea di massima
piatti e bucato attendono sempre), il presidente che preannuncia vittorie
quando la storia della Reggina parla al contrario, il dirigente che passa un
mese alla ricerca di un tecnico per poi accontentare una piccola minoranza sostanzialmente
incompetente. Ci piace invece il presidente che chiude il cerchio e, piuttosto
di correre appresso ai “consigli” degli amici, aspira dal sigaro e prende
autonome responsabilità, come quella di ri-esonerare Atzori che, invece di
allenare bene, faceva l’opinionista ed il critico di una squadra che poi era la
sua, fino a mettere la strana coppia in panchina, pur di perseguire il suo
pensiero datato di un organico con valori.
I movimenti sul mercato
ormai sono chiari ed anche questa volta il concetto era espresso, fin dal dopo
gara di Terni dove più che al mercato si guardava all’organico per
risollevarsi. Da quel pensiero si era allontanato definitivamente
l’ex-allenatore che, in piena osmosi con la stampa, raccontava un film diverso.
E’ un rischio ma adesso siamo al punto, indietro non si torna. Nello
spogliatoio, come si suol dire “si sono contati”, giocherà chi c’è con tutto se
stesso, adesso bisogna dare risposte a tutti.
Abbiamo sempre messo il
calcio al centro delle disamine, nel tentativo di contribuire nel nostro
piccolo ad alcune riflessioni utili alla causa, torneremo a parlarne, sperando
di raccontare qualcosa di diverso.
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